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LO SHUSHŌGI - LEZIONE 2

di P.Taigō Spongia

Capitolo II

Sange Metsuzai - Confessione e Pentimento


Replica di un'antica statua di Gautama Buddha, trovata a Sarnath, vicino a Varanasi

Proseguo dunque il mio commento supportato da estratti dei capitoli dello Shōbōgenzō che vi leggerò per esteso perché possano essere anche per voi oggetto di riflessione.

I capitoli dello Shōbōgenzō che hanno ispirato la composizione di questo secondo capitolo dello Shushōgi sono:
Keisei Sanshoku (La voce della valle e il colore della montagna)
Sanji Go (I tre tempi della retribuzione Karmica)
Bendowa (Dialogo sul sentiero della devozione ovvero Sul cammino religioso)

Il titolo del capitolo è Sange Metsuzai. I caratteri che lo compongono sono San Ge: Entrambi i caratteri possono essere tradotti con ‘rammaricarsi’, ‘confessare una colpa’ ed entrambi hanno al loro interno il radicale ‘cuore’ e, in particolare il carattere ‘Ge’ rappresenta il cuore di una madre.

E’ dunque evidente lo spirito, il cuore con cui il rammarico và manifestato, la sincerità con cui deve essere vissuto l’atto ci confessione e il prendersi cura, proprio come una madre, della propria limitatezza umana.
Kokoro è un’altra pronuncia del carattere cuore e in Giappone questo termine viene utilizzato per esprimere la purezza e sincerità di un’azione. ‘Hai agito con Kokoro’ si usa dire.
E Metsu Zai: Metsu che significa distruggere in cui sono rappresentati l'acqua ed il fuoco e Zai che è la colpa, il peccato e raffigura l'errore, il negativo sovrastato da una rete. Può essere reso pertanto con Confessione e Pentimento. Il Maestro Taiten raccontava come Maezumi Roshi traducesse il termine Metsuzai che in Inglese è reso con ‘atonement’ spezzando la parola in ‘at-one-ment’ suggerendo così il senso del ricondurre ad unità come effetto della confessione e del pentimento. Attraverso la pratica del Sangemon: la porta della confessione, abbiamo l’opportunità di riazzerare, ‘resettare’ la nostra vita, usando un termine informatico, ovvero di ritrovare la sintonia col ritmo dell’Universo.

L’Ordine Cosmico (così Deshimaru Roshi era solito tradurre il termine ‘Dharma’) ha un ritmo, un passo, che perdiamo a causa del nostro egoismo, a causa della nostra visione limitata e quando perdiamo il ‘passo’ con il ritmo dell’Universo soffriamo. E’ Dukkha, la ruota che scricchiola nell’affanno di seguire un sentiero accidentato, che non ruota agevolmente sul suo mozzo. Questa estate, ho portato al mare i miei bambini, sono salito su di una canoa e mi sono allontanato dalla riva, ho raggiunto una boa e ho legato la canoa per godere del silenzio e lasciarmi cullare dalle onde, il mare non era mosso ma c’era corrente e piccole onde. Legata, la canoa ha cominciato a sobbalzare, a ‘penare’ nel suo resistere alla corrente ed era tutt’altra sensazione che essere cullati. Appena liberata, la canoa ha ritrovato quiete, e, spinta dalla corrente è stata cullata dalle onde senza alcun sussulto. La nostra vita procede nello stesso modo, ci aggrappiamo, tentiamo di arrestare il fluire della vita e immediatamente sopraggiunge il disagio, la sofferenza, siamo ‘sballottati’ dalla vita stessa.

Appena la mente si libera dei legami, lascia andare la presa, ecco la quiete, il Nirvana, la barca è cullata dal ritmo dell’Oceano.

7.La porta della Grande Compassione aperta han lasciato Buddha ed i Padri per la loro grande Misericordia, perché in cielo ed in terra realizzato sia il Risveglio. (Shushōgi dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)

“Ogni Buddha e ogni Tathāgata possiede la meravigliosa capacità di raggiungere la suprema e perfetta illuminazione; essi si trasmettono questa illuminazione dall’uno all’altro, senza alterazione. Questa abilità trascende ogni espediente umano e non ne è limitata; essa è detta Jijiyu Zanmai (giocare gioiosamente nel Samadhi), il corretto metodo e modello di trasmissione da Buddha a Buddha” (Bendowa,Shōbōgenzō, editrice Pisani)

E’ il senso della trasmissione, come trasmissione del Risveglio. Buddha ed i Patriarchi, pur avendo realizzato la vacuità di ogni fenomeno hanno continuato ad insegnare e a praticare, e il loro Esercizio, il loro Insegnamento, è la Porta compassionevole attraverso la quale tutti gli esseri possono raggiungere il Risveglio e la Liberazione.

Ancora dallo Shōbōgenzō Bendowa da cui son tratti questi passaggi: “Sentire l’eco della vacuità è come il meraviglioso suono di un martello prima e dopo che abbia colpito una campana…”

E’ una magnifica definizione del Risveglio. Immaginate per un momento il gesto del braccio che colpisce il moppan, mentre l’uomo immerso nell’illusione percepisce solo il suono che scaturisce dal martello nel colpire il legno, il risvegliato percepisce il suono del martello prima e dopo il colpo, riesce a ‘vedere’, percepire, la risonanza, la Legge di Causalità e si lascia guidare da questa ‘visione’, da questo ‘ascolto’. continua il Capitolo secondo dello Shushōgi: “Il cattivo karma torna sicuro nei tre tempi, ma il pentimento gli effetti riduce, porta ristoro e purezza. Davanti al Buddha quindi pentiamoci in tutta sincerità.” (Shushōgi dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)

Ecco il riferimento specifico alla Legge di Causalità, al Karma. La Legge di Causalità agisce costantemente anche se non ne percepiamo immediatamente gli effetti, perché gli effetti si estendono nei tre tempi, passato, presente e futuro. Afferma Dogen Zenji nel capitolo Sanji Go dello Shōbōgenzō (i tre momenti della retribuzione karmica): “La Causalità è retta da un principio non diverso da quello per il quale l’ombra accompagna l’oggetto e non perde forza neppure col passare di centomila kalpa.” (Shōbōgenzō editrice Pisani)

Dogen Zenji afferma qui la ‘scientificità’ della Legge di Causalità. “Profondamente e sinceramente pentito al cospetto di Shakyamuni Buddha la virtù che ne deriva purifica e salva. Questa virtù sviluppa la fede e la devozione, quella fede che ci riunisce oltre ogni discriminazione e del cui merito gioiscono l’esistenze senzienti ed insenzienti.” (Shōbōgenzō Keisei Sanshoku : La voce della valle e la forma della montagna, traduzione di Yaoko Mizuno)

8. “Del pentimento il merito non solo arreca ristoro e purezza , ma favorisce, libera da dubbio, sincera la forza e la fede. Pura la fede quando compare (appare) trasforma noi e gli altri e ‘l suo beneficio s’estende senza confini ad ogni cosa e ad ogni vita animata ed inanimata. (Shushōgi dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)

La potenza del pentimento sincero riduce la pena del Karma e purifica, anche se stiamo in qualche modo subendo le conseguenze di azioni passate. Pentirsi sinceramente è riattingere alla fonte originale della nostra vita. E’ attraverso la fede che possiamo riconnetterci all’unità originaria: ‘quella fede che ci riunisce oltre ogni discriminazione’. Il pentimento come Kénosi, come svuotamento, uno svuotamento il cui risultato è la pienezza.

Questa fede che purifica e salva nasce dall’esercizio stesso, è la potenza trasformativa dell’azione. Quell’azione, quel gesto, che fa scaturire la comprensione. Ricordate la volta scorsa vi parlavo di Etty Hillesum, del suo inginocchiarsi come apertura alla ierofania, al mistero.
Oppure ricordate Pascal che affermava: ‘va bene fare discorsi ma innanzitutto inginocchiati e prega’. Questo è un aspetto molto importante: ‘Non celebriamo il rito perché abbiamo fede ma abbiamo fede perché celebriamo il rito’. Qui rispondo alla domanda di M. che mi chiedeva qualche giorno fa riguardo l’aspetto liturgico nella pratica Zen.
Avrete senz’altro sperimentato la potenza trasformativa di un gesto. Come un gesto può istantaneamente trasformare uno stato d’animo, dissolvere il dubbio. Perché l’azione, e l’azione rituale in questo caso, parla direttamente al nostro inconscio.

Quando facciamo sanpai questa resa alla terra e questo risorgere al cielo provocano istantaneamente una metamorfosi del corpo e della mente. Per l’uomo moderno è oggi così importante riportare la fronte, il cervello frontale, alla terra, affermava il Maestro Deshimaru.

Il Capitolo dello Shōbōgenzō Keisei Sanshoku fu esposto da Dogen Zenji nel 1240 il quinto giorno di Kessei Ango (il ritiro di tre mesi che andava da Aprile a Giugno).

Quando Dogen Zenji era tornato dalla Cina, dove aveva studiato sotto la guida di Tendo Nyojō Zenji, viaggiò per sei anni attraverso il Giappone senza fissare alcuna dimora. Dopo sei anni fondò Kōshōji a Fukakusa. Il Tempio fu inaugurato nell’Ottobre 1236 e il 31 Dicembre di quello stesso anno Koun Ejō fu insediato come primo discepolo (Shuso).

Ricordate che Koun Ejō scrisse lo Zuimonki che raccoglieva le sue note all’Insegnamento del suo Maestro (capitolo mai inserito nello Shōbōgenzō). Tre anni dopo, a causa del numero dei fedeli che aumentava considerevolmente Dogen Zenji pensò di far costruire una seconda sala di meditazione dando così il via anche in Giappone allo sviluppo di un monastero Zen all’altezza di quelli che aveva visto in Cina. Dogen Zenji era soddisfatto perché vedeva realizzarsi la sua profonda aspirazione di veder tramandato in Giappone l’Insegnamento di Bodhidharma. Questa soddisfazione traspare nel fascicolo Keisei Sanshoku dello Shōbōgenzō, insegnamento che impartì proprio in quel periodo.

Il titolo di questo fascicolo, Keisei Sanshoku è stato ispirato a Dogen Zenji dai versi della poesia di Su Tung-Po: “La forma della montagna, la voce della valle sono la postura e la parola di nostro Signore Shakyamuni Buddha! Uditi gli 84.000 Sutra, la notte, Come potrei ripeterli ?” Si parte dall’esercizio, dalla pratica, e attraverso l’azione si accede alla Realizzazione, alla comprensione, che non è una comprensione intellettuale, non ci è possibile ripetere il giorno dopo gli 84.000 Sutra che abbiamo ascoltato di notte, ma è comprensione intima che non può essere ricercata fuori di sé stessi.

E’ manifestazione del sacro che è ‘intercettato’ attraverso tutti i sensi, è ricevuto dal corpo in un’epifania. E si deve essere dentro l’esperienza religiosa, ed essendo dentro l’esperienza stessa diventa inesprimibile, ci lascia nell’apofasia totale, perché quando si fa un’analisi, quando si vogliono mettere insieme i ‘pezzi’ di un’esperienza, che è esperienza del Tutto, si diventa immancabilmente degli osservatori esterni,

il Tutto è vivisezionato in parti che si osservano ‘dal di fuori’ e l’esperienza religiosa è persa perché richiede di essere parte di quel Tutto. Siamo comunque chiamati a condividere questo sentimento di gratitudine, questo stupore, questa meraviglia, come hanno fatto il Buddha e i Padri che attraverso il loro Esercizio, il loro Insegnamento, hanno lasciato ‘aperta la Porta della Compassione’.

E’ una comprensione che deve essere costantemente alimentata col combustibile del nostro esercizio, e alimentare la comprensione con l’esercizio richiede sforzo, generosità. Si tratta di quello sforzo e di quella generosità che oggi si stenta ad accettare e a manifestare, in questa società del ‘self made man’ diventa impossibile comprendere l’esempio di Eka Daishi che si taglia il braccio per testimoniare la propria fede a Bodhidharma, oppure l’esempio, riportato proprio nel Keisei Sanshoku, del Bodhisattva che per evitare che il suo Maestro si sporcasse i piedi lo fa passare sui propri capelli coi quali copre il fango.

Mi è capitato spesso di sentire i commenti di persone scandalizzate di fronte alla devozione di allievi nei confronti del proprio Maestro, di fronte alla cura, all’attenzione verso le necessità del Maestro che fanno sì che possa insegnare serenamente. L’esercizio richiede sforzo (Gyoji) e praticando a volte ci si trova ad essere meno energici e motivati, ecco che allora viene in nostro sostegno il rito, la confessione. “Per curare la distrazione, la pigrizia, la sfiducia, bisogna pentirsi sinceramente davanti al Buddha. La virtù di questo atto di pentimento salva e purifica.” (Dogen Zenji)

Ma questo pentimento non ha nulla a che vedere col riconoscere una colpa, quello che confessiamo è il nostro volto dell’origine, è l’aver mancato di riconoscere ed esprimere la nostra originaria ed incontaminata purezza. La nostra ‘natura di Buddha’.

Il Maestro Taiten dice che è più facile per noi riconoscerci colpevoli peccatori, piuttosto che gioiosamente declamare la nostra purezza. Il fatto di dichiararsi colpevoli può, in qualche modo diventare un modo per disimpegnarsi mentre il confessare la purezza originale richiede coraggio perché dobbiamo poi testimoniarla con la nostra vita.

Ed è proprio da questa prospettiva che va vissuta la confessione. E’ proprio a partire dal riconoscere l’incontaminabile purezza che ci fonda che possiamo esprimere il voto di manifestarla nella nostra vita. E quello che fa un Maestro non è altro che ricordarci costantemente la nostra natura originale, quando vede che ci comportiamo da mendicanti ci ricorda che siamo dei re.

Abbiamo perso il passo e riconosciutolo, gioiosamente lo ristabiliamo, come un bimbo che cammina col padre, si distrae e rimane indietro, appena se ne accorge saltellando gioiosamente torna a raggiungerlo. Non dunque una contrizione ‘stagnante’ ma una dinamica rinascita. ‘Ogni giorno vi inginocchiate e, con le mani in Gasshō, le punte dei piedi ben distese, e nel viaggio dello spirito, smarrita la direzione, la ritrovate, vi riorientate come il navigatore in mezzo all’Oceano…Il Bodhisattva è una persona come le altre che però guarda costantemente in direzione di questa verità e questa sua capacità di guardare in direzione del Buddha è inseparabile da ciò che definiamo rituale.’ (M° Guareschi da note di P.Taigō Spongia)

E’ una continua rinascita. Osho Rajneesh raccontava la storiella di una falena, sapete quelle farfalle notturne che girano intorno ai lampioni. Una giovane falena, una notte, mentre svolazzava con le sue compagne, guardò in alto e tra le fronde di un albero vide una meravigliosa luce bianca. Era la luna e non aveva mai visto nulla di simile, lei e le sue compagne erano abituate a cercare e volare attorno alla luce di candele, lampioni… una volta trovate queste luci continuavano a ruotarci intorno continuamente.

La visione della luna cambiò la vita della giovane falena che decise che non si sarebbe mai più accontentata di girare attorno a qualcosa che non fosse la luna. Così, ogni notte, quando le falene uscivano dai loro nidi e ognuna andava in cerca di una fonte luminosa, la giovane falena si dirigeva verso il cielo e benchè la luna rimanesse sempre al di là delle sue capacità di volo, non si scoraggiava e continuò a vivere cercando di raggiungere la luna.

I suoi amici, la sua famiglia, i vicini, cominciarono ad insultarla, a prenderla in giro vedendola puntare alla luna invece di fermarsi a girare attorno al primo lampione. Ma tutte le falene, ad una ad una, fecero la fine di ogni falena, girando attorno alla candela, al lampione, finirono col rimanere bruciate.

E le altre falene non potranno che essere in collera con lei perché ha sollevato gli occhi verso la luna e rappresenta la loro cattiva coscienza, mentre loro continuano abbagliate a girare attorno alle candele ed ai lampioni, al denaro, alla fama, al potere, e pensano che la loro vita si riduca a questo, per poi morire.

E non è importante raggiungere la luna ma è l’amore per la luna che ha il potere di trasformare, è questa fede che diventa l’alchimia della trasformazione. L’esperienza religiosa è nella continua ricerca della ‘verità’ non è nel raggiungerla, è il cammino (Dō) quando pensiamo di aver raggiunto una qualche comprensione della verità in realtà l’abbiamo già persa. La verità è sempre una ricerca della verità.

E “La vera espressione della nostra gratitudine può trovarsi soltanto nel nostro esercizio quotidiano” troveremo affermato più avanti nello Shushōgi. E uno dei principi fondamentali sottolineati da Dogen Zenji , Shū Shō Ichinyo, la pratica e la Realizzazione coincidono, esprime anch’esso questo concetto chiave perché Shū può essere reso anche con ‘ritornare all’Origine’ (oltre che studiare, apprendere) e Shō con risvegliarsi ma anche con: prendere coscienza.

Tutto il nostro esercizio quotidiano trova il suo fondamento dunque da questo ‘tornare all’Origine’. E questa trasformazione, questo rigenerare la propria fede, influenza non solo sé stessi ma anche gli altri, tutte le esistenze: ‘Pura la fede quando compare (appare) trasforma noi e gli altri e ‘l suo beneficio s’estende senza confini ad ogni cosa e ad ogni vita animata ed inanimata.’

Quante volte mi avete sentito rispondere, a chi lamentava il fatto che nella propria famiglia, tra i propri conoscenti, non veniva ben accettata la propria pratica, che innanzitutto avrebbe dovuto alimentare la propria fede e questo avrebbe automaticamente, inconsciamente, influenzato chi gli era vicino. Siamo noi ad essere pieni di dubbio, a non credere.

A.N.Terrin affermava qualche giorno fa a S.Giustina: ‘Chi crede ha sempre ragione’ e ‘manca comunicazione quando non siamo convinti delle nostre credenze’.

Fanno bene a mettere in dubbio la validità e l’opportunità di quel che facciamo e diciamo perché siamo noi i primi a non credere in quel che diciamo e facciamo e allora ben venga chi ci dice che stiamo perdendo il nostro tempo, dovremmo ringraziarli e con molta umiltà osservare noi stessi, alimentare la nostra fede attraverso la pratica.

Questa pura fede (Jōshin) si estende ad ogni esistenza. “Se siete fisicamente e mentalmente pigri e privi di fede, dovete pentirvi di fronte al Buddha e mostrare la vostra più seria determinazione. Il potere del pentimento purifica la mente, aumenta la nostra fede e fortifica l’attitudine alla prassi. Quando la pura fede è manifestata, cessa la discriminazione tra sé e gli altri e nasce equanimità ed armonia. Si manifesta anche la grande compassione del Buddha e la nostra virtù influisce su tutti gli esseri animanti ed inanimati e reca loro giovamento.” (Shōbōgenzō Keisei Sanshoku, editrice Pisani)

Questo è particolarmente evidente nel Sangha dove la negligenza o l’energia, lo slancio di uno, influenza tutti. Attraverso l’esercizio ci facciamo ricettivi, aperti, e ogni cosa ci insegna il Dharma. Il suono del torrente allora esprime la Parola del Buddha e il colore della Montagna il suo meraviglioso Corpo, come espresso nella poesia di Su Tung Po.

“Gli uomini ammucchiano conoscenze ma io penso che il fine ultimo sia di poter sentire il suono della valle e guardare il colore della montagna.” Diceva Sawaki Roshi.

E Dogen Zenji ancora nel Keisei Sanshoku incalza: “E’ un vero peccato che dai tempi antichi fino ad oggi vi siano persone che non comprendono che l’Universo proclama il reale corpo del Buddha; sono da compiangere. Cosa vedono guardando una montagna ? E cosa sentono ascoltando un torrente della valle? Sentono un solo suono invece degli 84.000 Inni? E’ deplorevole che molti apprezzino solo gli aspetti superficiali di suono e colore.” (Shōbōgenzō Keisei Sanshoku, editrice Pisani)

Saper vedere che: “Le montagne scorrono e i fiumi sono fermi” è lo sguardo del Risvegliato, come sentire il suono del martello prima e dopo che colpisca la campana.

“Una volta un monaco chiese al Maestro Zen Chōsa Keishin: ‘Come possiamo possedere montagne, fiumi e terra, come se fossero nostri?’ in risposta Chōsa disse: ‘Come possiamo ritornare a montagne, fiumi e terra?’ Questa risposta significa che quando non consideriamo noi stessi come qualcosa d’altro, ed esistiamo veramente nella nostra propria reale natura, allora non vi è nulla di sbagliato se affermiamo di essere montagne, fiumi, terra”. (Shōbōgenzō Keisei Sanshoku, editrice Pisani)

Ecco la confessione, ecco sanpai, tornare ad essere montagne, fiumi, terra, ritornare a vedere ‘la montagna di tesori su cui viviamo’ e come ogni cosa ‘anche nel mezzo dei vari mondi del samsara diviene la prassi del Risveglio stesso’.

Prosegue il capitolo dello Shushōgi: “9. Anche se il peso del nostro cattivo karma passato pare esser d’ostacolo al seguir la Via, invochiamo d’ogni Buddha Tathagata e Patriarchi la compassione, il potere, perché ci liberino da questo male, dagli ostacoli che impediscono il Sentiero, perché possan dividere con noi la loro Compassione, ch’è grazie a questa che la virtù il merito e la maestria loro, colma l’intero universo. 10. I Buddha e i Patriarchi nel passato in origine come noi erano . Noi in futuro come loro (come i Buddha e i Patriarchi) saremo. Senza inizio ira, brama, ignoranza di tutto il nostro male causa sono col corpo parola mente nasce ogni male del quale ora faccio ampia, piena confessione. Col pentimento profondo (sincero) confessiamo d’ogni Buddha e Patriarca l’invisibile e sicuro aiuto, memori e (cor)retti nella postura. Così il poter della confessione sradica il male. (il poter della confessione il male sradica). (Shushōgi dalla traduzione recitabile del Maestro F.Taiten Guareschi)

Ira, brama, ignoranza, i tre veleni, le contaminazioni della pratica (Klesa) che si frappongono al Risveglio e che attraverso lo sforzo risoluto dell’esercizio sono trasformati in alimento del Satori : Bonno soku Bodai.

E attraverso l’atto di confessione ci rammemoriamo del fatto che Buddha e Patriarchi ci vengono in sostegno e soccorso. Se noi pensiamo al tempo come un processo lineare, come siamo stati educati a considerarlo, come una linea orizzontale che va dal passato al futuro, allora, può apparire strano, si può stentare a credere che Buddha e Patriarchi possano qui e ora sostenerci. Ma la nostra percezione è limitata, illusoria.

Esiste una linea verticale del tempo che si incrocia con la linea orizzontale proprio nel momento presente. Quando ‘siamo tempo’ (Uji) afferma Dogen Zenji, quando siamo totalmente presenti alla vita allora il momento presente è eternità dove tutte le esistenze passate, presenti e future si incontrano. Quando ci affidiamo alla Via con gioia e determinazione, senza preoccupazioni di fama e profitto, saremo sotenuti sempre e comunque.

“Di cosa discutevate ?”, mi chiede il Maestro Taiten. “Di come finanziare i lavori di edificazione del monastero”, rispondo. “Non perdete tempo a discutere. Raccogliete le foglie, pulite le scale, bruciate incenso. Solo così arriveranno le offerte per costruire il Tempio. Il Tempio si costruirà con i sacrifici ed il cuore puro.” (R.Myoren Giommetti)

I Buddha e i Patriarchi erano persone che si sostenevano facendo affidamento soltanto sulla pratica e dal loro esempio ci viene la serenità di sapere che saremo sempre sostenuti se alimentiamo questo spirito. Richiamando il loro esempio ricordiamo che anche i Buddha/Patriarchi hanno percorso il nostro stesso cammino, affrontando difficoltà e delusione, realizzando la Via, e la loro pratica, il potere generato dal loro inesauribile esercizio ci sosterrà sempre e comunque.

Così si chiude lo Shōbōgenzō Keisei Sanshoku: “Se ci pentiamo, di certo avremo l’aiuto del Buddha, anche se non possiamo percepirlo. Concentrate i vostri pensieri, rafforzate il corpo, vuotate la mente, prosternatevi e rivelate ogni colpa e ogni cattivo comportamento passato. Il potere del pentimento rimuove ogni colpa. Questa è la pura e corretta prassi, questa è la vera fede manifestata nel vostro corpo. Allora potrete udire gli 84.000 inni di lode pervenire dal torrente e dalla montagna.

Se vi pentite davanti al Buddha, invece di rimuginare sulla vostra mancanza di fama e di ricchezza, il torrente e le montagne non smetteranno mai di insegnarvi la Via. Tuttavia sia che il suono del torrente e il colore della montagna vi manifestino gli 84.000 inni di lode o no, pure essi esistono. Non si sentono solo di notte. Se non abbiamo la mente adatta alla prassi e manchiamo del potere della verità, come possiamo scoprire l’unità del suono del torrente, del colore della montagna e di noi stessi?” (Shōbōgenzō editrice Pisani)

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