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LO SHUSHŌGI - LEZIONE 3

di P.Taigō Spongia

Capitolo III

Jukai Nyui - Ordinazione e Realizzazione

ideogramma iideogramma nyuideogramma juideogramma kai

 

ideogramma ju= Ju, impartire istruire, conferire

contiene il radicale ‘mano’ e ‘ricevere’ il ricevere suggerisce il passaggio, il tramandare, ma anche il perseverare. Il radicale Ukeru: ricevere, suggerisce anche lo sperimentare e l’afferrare (come si afferra una palla al volo).

ideogramma kai= Kai, comandamento, precetto

E’ composto dal radicale che rappresenta due mani (unite in segno di rispetto: Gasshō) che tengono una lancia, col significato complessivo di: ‘stare in guardia’ ‘astenersi da...’

ideogramma nyu= Nyu, entrare, inserirsi

ideogramma i= i, ordine

E’ composto dal radicale ‘uomo’ o ‘persona’ e da ‘un posto assegnato’ , una persona che sta al suo posto e, in particolare il radicale  rappresenta una persona che sta eretta su di una superficie.

Ricevere i Precetti è dunque riconoscere il proprio posto e insediarsi in esso.
Un uomo che sa stare al suo posto nell’ordine delle cose non può che ‘fare il bene ed evitare il male’, spontaneamente e naturalmente.
Non può esserci altro imperativo etico se non quello di ‘essere al proprio posto’ di momento in momento. 

Sedere in Zazen è l’archetipo dello ‘stare eretti al proprio posto’, l’uomo senza qualità che siede sulla stabile terra.
Zazen è anche definito: Kika Onza ‘Tornare a casa e sedere in pace’.

Quel che si trasmette (Shōden no Buppō) è la postura esatta, che si esplicita nel trovare il proprio posto, di momento in momento nel crocevia del tempo e dello spazio (Ko-I).
L’Ordinazione è momento di grazia in cui si riconosce il proprio posto e ci si insedia in esso, saldamente eretti sulle proprie gambe.
L’Ordinazione apre gli occhi, è Risveglio, ed i Precetti che si ricevono sono l’occasione per attualizzare, porre in azione questo Risveglio, Datsu Raku Shin Jin (continuare ad abbandonare/trasfigurare mente-corpo). 

I capitoli dello Shōbōgenzō che hanno ispirato la compilazione di questo capitolo dello Shūshōgi sono:

  • Dōshin
  • Kie-Sanbō
  • Jukai
  • Shukke-Kudoku
  • Bonmō-Kyō-Ge
  • Bendōwa
  • Hotsubodaishin
  • Hotsugan-Rishō 

11. (Quindi) Poco importa quanto il  nostro corpo,
 la nostra mente possan mutare.
Ora, ai Tre Tesori come a un rifugio sicuro
devoti andiamo.
Del Buddha, (del) Dharma,
(del) Sangha, all’Ovest come all’Est,
(in India come in Cina)
dei Buddha e (dei) Patriarchi
la devota venerazione
retta-mente si tramanda. (1)

Il Capitolo dunque si apre con un fermo riferimento al Buddha, Dharma e Sangha, i Tre Tesori. Dogen Zenji afferma che laddove i Patriarchi trasmisero la Vera Legge (Dharma), la gente venerava i Tre Tesori.
Come detto poc’anzi la trasmissione di questa retta-mente altro non è che trovare momento per momento, il proprio posto nell’Ordine dell’Universo.

Il Prendere rifugio nei Tre Tesori, afferma Dogen Zenji nel capitolo Kie-Sanbō, è presupposto essenziale alla vera fede: ‘Se non li veneriamo non possiamo prender rifugio in essi; se non prendiamo rifugio in essi, non possiamo venerarli’. (2)

La fede come frutto della pratica, ‘non celebriamo i riti perché abbiamo fede ma abbiamo fede perché celebriamo i riti’ direbbe Don Roberto Tagliaferri (3), la presa di Rifugio come mettere i piedi nella Via e cominciare il cammino della devozione. Il Rito di Ordinazione come porta d’accesso alla fede.
Ma è bene chiarire cosa intendiamo con il termine Fede. Fede è riconoscere l’esistenza di un ‘fondamento misterioso’ che trascende la nostra capacità di comprensione e affidarsi ad esso. E’ l’originaria percezione coscienziale della presenza del divino in noi prima di ogni parola. E’ quella presa d’atto perturbante primordiale e originaria. (4)
Poi, sorgendo l’esigenza di condividere la propria fede nascono le ‘credenze’ che sono il frutto del tentativo di esprimere l’inesprimibile.
Che questa fede la si formuli in un modo o in un altro, secondo la rivelazione, secondo una tradizione o secondo quel che si è studiato o intuito, questa è un’altra cosa: non si deve confondere “credenza” con “fede”.
Raimundo Panikkar arriva ad affermare che nessuno può dire di non avere fede.
La fede è costitutiva dell’essere umano.
Ognuno di noi è aperto al mistero, all’incertezza.
Fede è questa apertura verso la trascendenza e il cammino della fede è sempre cammino verso lo sconosciuto.

Abramo lascia la sua città con la famiglia, i beni, cammelli, schiavi, pecore per muoversi verso la terra che Jahweh gli ha promesso. Riconosce la voce di Dio e ad essa ubbidisce: “e allora Abramo ebbe la convinzione che aveva udito la voce del vero Dio, perché non sapeva dove andava”.

Con l’espressione ‘credere in..’ gli scolastici (facendo la distinzione tra credere Deum e credere in Deum) volevano spiegare il fatto che nell’uomo c’è la consapevolezza ma non l’intelligenza della realtà divina, di qualcosa differente ma non separato dal mondo (differenza ontologica). Panikkar arriva ad affermare che la fede in Dio è ‘agnostica’, la fede non è gnòsis, non si conosce, come dicono anche tutti i Padri della Chiesa.
La vera fede non può avere oggetto, se avesse oggetto sarebbe idolatria.

I Tre Tesori (Ittai Sambō :Triplice Tesoro d’un solo Corpo):
Il Buddha (Butsu in giapponese), primo grande Maestro, colui che incarna il cammino ed il suo frutto, Colui che ha rinnovato la memoria dell’immemorabile, l’uomo, Siddharta Gautama che ha superato la sofferenza e ha insegnato la Via alla liberazione. (I Tre Corpi del Buddha: Dharmakaya, Samboghakaya, Nirmanakaya).
Ma Buddha è anche ogni uomo che si risveglia alla Vera Legge, che si libera dall’illusione. Il Dharma (Hō in giapponese), la Norma Universale, l’Ordine delle cose, il tempo e lo spazio di ogni esistenza.
E’ Dharma anche l’Insegnamento di Shakyamuni che permette la perfetta comprensione delle Quattro Nobili Verità, di ritornare all’Ordine Cosmico e liberarsi dalla sofferenza.
Il Sangha (Sō in giapponese) è la comunità armoniosa in cammino sulla Via della Liberazione.
La comunità in cui ‘come ciottoli in un ruscello’ ci si leviga gli uni con gli altri.
Ogni tradizione ‘buddhista’ fa della somma libertà del Buddha, della sublime giustizia del Dharma e dell’impareggiabile carità del Sangha, il simbolo della sua fede.

L’aver preso rifugio e il tornare a riferirsi costantemente al Buddha, Dharma e Sangha protegge da ogni deviazione: ‘Influenzati da cattivi amici o da démoni, alcuni possono perdere l’aggancio con la Via e smettere di produrre il bene. Anche in questo caso, però, il merito per aver preso rifugio nei Tre Tesori, in passato, continua a crescere e alla fine costoro di nuovo ricominceranno a produrre il bene.’ Kie-Sanbō (Shōbōgenzo ed. Pisani)

Prendere Rifugio significa riconoscere nei Tre Tesori e nello Zazen il fondamento della propria vita.
Prendere appoggio su questo fondamento consente alla vita di riorganizzarsi armoniosamente secondo i principi dell’Ordine Cosmico.
Come una calamita richiama all’ordine e orienta la limatura di ferro.
A qualcuno che mi confidava le sue difficoltà a vivere i problemi quotidiani ho suggerito di stabilire il fondamento della propria vita e da lì partire e lì tornare costantemente. Senza questo centro non si può che soffrire, esposti e vulnerabili, al vento dell’impermanenza (Mujō).

12. Chi, per scarsa virtù (e) fortuna,
dei Tre Tesori mai neppure il nome ha udito,
non può trovarvi rifugio.
Chi per angustia (e) paura
a profane credenze si commette,
mai dalla pena e dal dolore sarà salvo (redento).
Andiamo invece subito (lesti)
al Rifugio del Buddha-Dharma-Sangha,
liberi da ogni male e nel più vero e perfetto Risveglio.
(5)

Come abbiamo trovato nel 1° Capitolo dello Shūshōgi:
‘D’esser nati uomini rara è la fortuna, ché dover cercare il Dharma. Del passato buone azioni ci han dato d’uomini il nascere e del Dharma l’incontro

Ancora una volta Dogen Zenji ribadisce quanto prezioso e raro sia l’incontro col Dharma e quanto sia nostro dovere e salvezza prendere rifugio nei Tre Tesori.
Spesso si è spinti verso credenze religiose dall’esigenza di placare il dolore, l’angoscia della condizione umana.
Ma spinti da questa esigenza si può cadere nella trappola di affidarsi a pratiche esclusivamente consolatorie, che danno un sollievo momentaneo ma non portano alla vera pace, non permettono di liberarsi dalla sofferenza.
E’ come prendere un analgesico quando si ha un dolore, il sollievo momentaneo non risolve alla sua origine il dolore.
L’Insegnamento del Buddha è andare all’origine della malattia, all’origine della nostra ignoranza, e risolvere il problema alla radice.
L’incontro personale, come fortemente sottolinea Dogen Zenji, permette di non cadere In questa trappola.
Non esiste lo Zazen al di fuori dell’incontro personale.

Tutto lo sforzo meditativo, per quanto vigoroso e sincero, pare annullarsi di senso quando si perde di vista la specifica natura narrativa dell’evento salvifico fondante, Shakyamuni Buddha, desto, ai piedi dell’albero del risveglio, che è anche l’imbattersi diretto e personale con chi quell’evento incarna e testimonia. …
L’uomo non siede in meditazione per se stesso, ma in forza di una volontà immensamente altra. Egli non siede solo con se stesso, nella propria volontà – quella costituita dai vincoli dei suoi aggregati condizionanti – ma in virtù di quella volontà, azione totale della Via, Zenki, che lo vuole esposto alla misteriosa complessità dell’ascesa-discesa nelle profondità della conoscenza e simultaneamente nell’immensità misericordiosa dell’amore.
(6)

Prendendo Rifugio nei Tre Tesori arriviamo a comprendere che la sofferenza non è qualcosa da fuggire, da rimuovere, ma, nella comprensione della Prima Nobile Verità, che è integrante alla vita umana e che esiste un cammino (Quarta Nobile Verità) che permette di ‘passare attraverso’ la Sofferenza.

Afferma il Rev. Shundo Aoyama: Se non si è a conoscenza delle regole del traffico e si guida senza tenerne conto, si provocano incidenti. Allo stesso modo, se si vive ignorando le leggi della realtà, con una conseguente visione errata della vita e del mondo ci attende solo una grande sofferenza. Il punto di arrivo di un'esistenza che parte dalla non conoscenza è detto in termini buddhisti, issai kai ku, cioè "tut­to è sofferenza". Quando uno giunge in un vicolo cieco, scontrandosi continuamente con la sofferenza, alla fine si rende conto di aver sbagliato e, costretto dal dolore, apre finalmente le orecchie agli insegna­menti. È lo stesso tipo di rapporto che si instaura tra il malato e il medico. Quanto più uno sta male, tanto più velocemente ricorre al medico, si dispone a seguirne i consigli e a prendere le medicine che gli sono prescritte. Grazie alla sofferenza, il cuore si apre alla ricerca della via e le orecchie all'ascolto degli insegnamenti. Per la prima volta si vedono chiaramente le leggi della realtà e i vari aspetti della veri­tà. Ci si rende conto meglio anche della situazione della propria vita, e si compren­de come bisogna vivere e guidare la pro­pria esistenza. In altre parole, dall'ignoran­za si passa alla conoscenza, comprendendo sempre meglio in base a quali leggi della realtà occorre vivere. (7)

La mente che avverte il sorgere e il decadere – insegna il Patriarca Nagarjuna – e che riconosce la natura effimera del mondo è lo spirito del Risveglio.

Pertanto il dolore, l’angoscia, congeniti alla condizione umana, divengono occasioni di Risveglio. Non vanno sprecate mettendole a tacere con un analgesico spirituale.
La pratica religiosa non è un analgesico spirituale.

13. ‘Ai Tre Tesori andare come ad un rifugio sicuro è pura fede (nel Buddha). Prima o dopo del Tathāgata il Nirvana, le mani giunte, la (e a) testa china, diciamo: “Come ad un Rifugio andiamo al Buddha, come ad un rifugio andiamo al Dharma, come ad un rifugio andiamo al Sangha. Al rifugio del Buddha come all’impari Signore andiamo, al Rifugio del Dharma come all’impari rimedio andiamo, al Rifugio del Sangha come all’impari armonia andiamo (8)

Prendere rifugio si dice Ki-e.

Namu Ki e Butsu (Prendo rifugio nel Buddha)
Namu Ki e Hō (Prendo rifugio nel Dharma)
Namu Ki e Sō (Prendo rifugio nel Sangha)

Dogen Zenji spiega :“kie, prendere rifugio, è un composto: ki-e. La prima parte significa ‘gettarsi senza riserve in qualcosa’; la seconda, significa ‘fare assegnamento su’. Dovremmo gettarci nei Tre Tesori come un bambino si getta nelle braccia del padre…” Kie-Sanbō (Shōbōgenzo ed. Pisani)

Quindi il ‘Prendere Rifugio’ che apparentemente potrebbe suggerire una semplice ricerca di protezione nasce in realtà da un’esposizione totale.
Il gettarsi del bimbo tra le braccia del padre senza la certezza di essere afferrato, gettarsi comunque, pieni di gioiosa fiducia è espressione della pura fede.
La vera pace, il vero rifugio, può trovarsi solo nell’abbandono di sé, nell’esposizione totale . Può trovarsi solo nell’accogliere l’incertezza, accettare la propria vulnerabilità.
Mi sembra che il Cristo, morendo, abbia insegnato proprio questo.
Prendere rifugio è come per l’onda riconoscere di essere acqua e prendere rifugio in quest’ultima realtà.

Dogen Zenji sottolinea fortemente nel Capitolo Kie Sanbō, anche quanto importante sia condurre altri ad incontrare il Dharma e a ricevere i Precetti e prendere Rifugio nei Tre Tesori.
Egli afferma: “Prendere Rifugio nei Tre Tesori è il primo passo della Via…questa cerimonia ci è stata tramandata così come venne insegnata dai Patriarchi”

Shobogenzo Jukai: “Le parole: ‘Innanzitutto prendete i Precetti’ incarnano il significato dell’Occhio e del Tesoro della Vera Legge. Tutti i Buddha e i Patriarchi hanno iniziato prendendo i Precetti e hanno trasmesso questa prassi come Vero Dharma” “ Ricevere i Precetti del Bodhisattva è il primo passo sulla Via; coloro che cercano veramente dovrebbero saperlo

Coloro che cercano veramente’ afferma Dogen Zenji a sottolineare quanto il Ricevere i Precetti faccia la differenza tra chi decide di percorrere il Sentiero della Liberazione e chi tiepidamente cerca un conforto momentaneo, individualistico, e non ha risvegliato Bodai Shin. La Pratica della Via del Buddha, dice Dogen Zenji, non è cosa per i pigri e gli indifferenti.

Meditazione e Precetti sono una cosa sola, è manifestare l’immediato Risveglio”.
I Precetti non come prescrizioni negative ma come la descrizione della vita di un Bodhisattva, come la più autentica espressione della nostra natura di Buddha.
E’ in qualche modo un’infrangere i precetti l’interpretarli dualisticamente.
Non uccidere va interpretato come ‘dare vita’, considerare l’uccidere in modo dualistico equivale a violare i Kai.

14. Solo nel (col) Triplice Rifugio
discepolo sei del Buddha,
e per ogni altro Precetto
pronto è il tuo cuore.
Il merito di questo Triplice Rifugio
appare solo nella profonda
Comunione col Buddha.
Solo (per) chi di questa
profonda comunione
ha l’esperienza,
inevitabile è ‘l trovar
rifugio, anche nei (sei)
sentieri degl’inferni
dei preta, degli animali,
degli uomini, degli asura,
dei Deva, nei diversi
sentieri del nascere morire
mai decade virtù
dei Tre Tesori:
il loro merito cresce
fino al Supremo Perfetto Risveglio.
Del rifugio l’oceano
del merito insondabile
profondo, delle sue
mirabili virtù,
lo stesso Bhagavat
fu testimone,
e noi a questo rifugio andiamo.
(9)

La profonda comunione col Buddha è detta Kannodokō, è quella retta-mente che si tramanda e di cui si deve fare l’esperienza.
E’ il ‘luogo di scambio e comunione tra la misericordiosa risposta del Signore Buddha e l’ardente supplica dell’uomo capace di tendergli immotivatamente le braccia.’ (10)

In qualsiasi mondo ci si trovi (mondo dei Preta, degli Asura…), ricevuti i Precetti, Preso Rifugio, si procede verso la definitiva Liberazione.

L’Unico Onorato al Mondo ha chiaramente mostrato a tutti gli esseri senzienti che, quando ricevono i Precetti del Buddha, entrano nel suo Regno, diventando realmente suoi figli e realizzando lo stesso grande Risveglio

Queste strofe vengono recitate dal Maestro Ordinante (Precettore: Jūkai Shi) durante la Cerimonia di Ordinazione dopo aver consegnato il Kechimyaku. Così come vengono recitate ogni mese durante il Rito di Ryaku Fusatsu.
Questo passaggio evidenzia come colui che riceve i Precetti fin da subito entra nel Regno di tutti i Buddha (Shobutsu).

Il Maestro in tal modo ci ricorda che nulla può separarci dalla nostra Natura Originaria e come la nostra vita sia espressione della comunione col Buddha, ma siamo portati a dimenticarlo facilmente a causa del nostro pensiero dualistico ed egoistico.

Nel capitolo “Fede e comprensione” (“Shinge”) del Sutra del Loto si narra del figlio di un ricco signore che lascia la casa del padre in tenera età e vaga per terre lontane, vivendo di stenti per ben 50 anni. Un giorno, vagando di città in città, ritorna per caso nel paese del padre, così ricco e potente che tutti lo credevano un re.
Il padre avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per ritrovare il suo unico figlio, legittimo erede delle sue ricchezze. Il figlio, dopo aver visto lo splendido palazzo del padre, ammise che sarebbe stato impossibile, per un uomo povero come lui, avere una qualsiasi posizione nel palazzo di un così potente uomo. Quindi decise di trovare di che vivere nel modesto villaggio vicino.
Il padre, vedendolo per caso da lontano, lo riconobbe immediatamente e ordinò ai suoi servi di ricondurlo a lui. Il figlio, che credeva di essere inseguito per aver commesso qualcosa di male e per essere quindi condannato a morte, cadde a terra svenuto per la disperazione. Il padre, vedendo la scena da lontano, capì che se avesse detto a quell’uomo che era suo figlio, nessuno lo avrebbe creduto. Decise quindi di lasciarlo andare. Avendo solo la pretesa di offrire lavoro ai disagiati, chiese al figlio di lavorare per lui. Incominciò col dargli un lavoro umile. In seguito gli assegnò compiti via via più complessi che richiedevano maggiori responsabilità. Dopo 20 anni l’uomo si trovò in una posizione tale da poter controllare tutti gli affari del palazzo del padre. Continuava comunque a pensare di non essere interessato alla ricchezza di un altro, non avendo ancora realizzato che quella ricchezza era sua.
Il padre, realizzando che il figlio aveva acquisito sufficiente sicurezza di sé, riunì il re, i ministri e tutte le persone del palazzo e fece annunciare al re che quell’uomo era suo figlio e che a lui avrebbe lasciato la sua ricchezza.
Nella tradizione buddhista mahayana, questa storia illustra che siamo figli di Buddha e che possediamo tutte le qualità necessarie per ereditare la sua ricchezza. Si evidenzia anche quanto lungo sia il cammino che ci porta a realizzare questa verità e a vivere in accordo con essa.
(11)

15. Ora i Tre Puri Precetti,
d’ogni Dharma dimora
ed origine, riceviamo:
- primo, evitare ogni male,
- secondo, fare tutto il bene,
- terzo, esser d’altri aiuto e servizio (salvezza).
(poi) i Dieci Solenni Precetti riceviamo:
- non uccidere,
- rubare,
- bramare,
- mentire,
- il corpo la mente
non confondere
- il biasimo, la vanità,
l’avidità, la collera
non nutrire,
- Il Buddha, Dharma, Sangha non disprezzar (e).
Tutti i Buddha Tathagata
Da sempre
Il Triplice Rifugio,
i Tre Puri e i Dieci Solenni
Precetti hanno accolto,
custodito (e) tramandato.

16. Nel ricevere i Precetti
D’ogni Buddha
Nei tre tempi
Del Risveglio la Suprema
Sapienza è realizzata,
l’adamantino
indistruttibile Risveglio
è la sua sapiente, gioiosa
ricerca. (Non c’è sapiente che
non lo cerchi con gioia).
Come il Baghavat chiaro
Ha mostrato,
colui che i Precetti
riceve
nel regno dei Buddha
entra,
al rango dei Buddha
accede,
figlio del (dei) Buddha
diventa,
il suo (lor) magnifico
Grande Risveglio
Realizza.
(12)

Dallo Shōbōgenzō Jukai:
Ottenere i Precetti è il risultato dell’aver coltivato una mente sincera
I Precetti devono essere trasmessi da un Maestro che li abbia ricevuti a sua volta. Anche se riceviamo i Precetti quasi per caso, per es. perché portati alla Cerimonia da un amico, eppure non ci è dato conoscere le circostanze karmiche che ci hanno portato a questo incontro.
Quando rispondiamo ‘Yoku Tamotsu !’, ‘Sì, lo voglio!’,
entriamo immediatamente nel Regno di Tutti i Buddha, come figli del Buddha.

Le parole: ‘Innanzitutto prendete i Precetti’ incarnano il significato dell’occhio e del Tesoro della Vera Legge’ (Shōbōgenzō Jukai)

Trasmessi dai Buddha e Patriarchi sono giunti in Cina con Bodhidharma (28° Patriarca Indiano e 1° Patriarca Cinese) poi fino ad Enō (6° Patriarca Cinese) poi, Seigen Gyoshi e Nangaku Ejō, dal primo son derivate le Tradizioni Unmon e Hōgen e dal secondo le Scuole Igyō e Rinzai.

Tale è il valore intrinseco all’Ordinazione tanto che il Buddha ordinò un brahmano ubriaco: "Il Buddha soggiornava nel Vihāra di Jetavana, a Srāvasti nel Kosala, quando venne avvicinato da un brahmano ubriaco che gli chiese di poter entrare nel Samgha e diventare suo discepolo. Buddha acconsentì e disse ad Ananda di tagliargli i capelli e di fornirgli l'abito da monaco. Il brahmano, una volta ritornato sobrio, restò sconvolto per l'insolito, umile aspetto, e corse a nascondersi. I discepoli chiesero allora al Buddha: ‘Venerabile, perché mai hai accettato nel Samgha quel brahmano ubriaco ?’ il Buddha rispose: `Per innumerevoli esistenze questo brahmano non si è neppure sognato di entrare nel Samgha; una volta ebbro, tuttavia, la sua mente si è avvicinata di un piccolo passo a questa decisione. Anche se sfortunatamente questa volta è scappato via, non per questo il merito di essere entrato nel Samgha diminuirà col tempo. Sicuramente in una prossima esistenza egli risveglierà la mente che cerca il Buddha'. Sàkyamuni permise al brahmano ubriaco di entrare nel Samgha pur essendo consapevole che la sua richiesta era dovuta soltanto allo stato in cui si trovava. Colse cioè la preziosa opportunità e così facendo pose le basi affinché il brah­mano potesse percepire la Via e realizzare il risveglio in una vita successiva". (13)

Risvegliarsi alla Via richiede un solo istante

17. Ogni Buddha dimora
nel meraviglioso Regno
del Dharma, chiara
e senza tracce la Sua visione.
Colui che vi dimora, più
non distingue, più
non macchia, allora
tutto ed ogni cosa, terra
erba alberi muri tegole
sassi siepi son
del Risveglio
manifestazione e quel
che ne riceve il frutto
realizza il Risveglio
senza traccia e senza mente.
Questo del non-agire
e del senza-sforzo
è il merito, il sorgere
della mente (dello spirito)
del Risveglio” (14)

Non agire, wu wei, esprime l’azione non dualistica.
Non si tratta del vivere passivamente, fatalisticamente, ma, proprio al contrario è agire liberamente in accordo con il Dharma.
Quando la nostra azione, svincolata dai condizionamenti (Klesa), agisce in accordo con quel che la situazione richiede (natura morale delle cose), qui ed ora, si dice che non agiamo, perché la nostra azione, non è più l’azione di un’entità separata, isolata, un’azione che ‘macchia’, ma diventa l’azione dell’Universo intero.
Lo zazen è l’archetipo mitico, cultuale e simbolico di questa totalità cosmo-te-andrica.
L’uomo risvegliato partecipa alla creazione del mondo ed ecco allora che la sua azione è espressione della Vita del Tutto, della Grande Vita, dell’interdipendenza di ogni esistenza:

allora
tutto ed ogni cosa, terra
erba alberi muri tegole
sassi siepi son
del Risveglio
manifestazione.

NOTE AL TESTO

(1) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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(2) Tratto da Kie-Sanbō, Shōbōgenzo, Nishiyama, trad. Oriani, ed. Pisani, 2003

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(3) Roberto Tagliaferri, Teologo Liturgista, docente a S.Giustina.

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(4) F.Taiten Guareschi, Fudenji: un’esperienza buddhista?, quaderni ad uso interno dell’Istituto Italiano Zen Sōtō

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(5) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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(6) F.Taiten Guareschi, Fudenji: un’esperienza buddhista?, quaderni ad uso interno dell’Istituto Italiano Zen Sōtō

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(7) Shundo Aoyama da Paramita n.60

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(8) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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(9) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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(10) F.Taiten Guareschi, Fudenji: un’esperienza buddhista?, quaderni ad uso interno dell’Istituto Italiano Zen Sōtō

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(11) Dai commenti del Rev. Yaoko Mizuno allo Shūshōgi traduzione ad uso interno all’Istituto Italiano Zen Sōtō

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(12) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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(13) Tratto da Shukke Kudoku, Shōbōgenzo, Nishiyama, trad. Oriani, ed. Pisani, 2003

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(14) Shūshōgi nella versione recitabile composta dal Maestro F.Taiten Guareschi

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